Ma Chi Me Lo Fa Fare? Come Il Lavoro Ci Ha Illuso
Maura Gancitano and Andrea Colamedici
Highlights
- Se Willy, un po’ come nel mito di Sisifo, rappresenta la classe oppressa che cerca disperatamente (e senza riuscirci) di raggiungere il livello della velocissima classe agiata, il suo tentativo è minato alle fondamenta dal fatto che, per farlo, utilizza gli strumenti appositamente fallati dal potere.
- «Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo» scrisse a questo riguardo Levi «sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano.»
- «Qui non abbiamo orari, ognuno può cominciare a lavorare quando vuole, c’è libertà!», e poi tutti cominciano poco dopo l’alba e finiscono ben oltre il tramonto, perché banalmente sono costretti a lavorare il più possibile per ottemperare ai propri doveri, e l’assenza di orari si rivela nella sua vera natura di assenza di tutele.
- Avendo molto poco passato alle spalle, e quindi poca memoria e molto bisogno di identità, il sogno americano ha potuto impiantarsi nelle menti statunitensi attraverso l’elogio della materialità, dell’accumulo e della scalata sociale, interpretati erroneamente come strumenti per reclamare un qualche diritto d’eternità.
- La stragrande maggioranza dei lavori non garantisce la realizzazione personale, e la narrazione tossica diffusa per la quale sia il lavoro in sé a nobilitare l’umano non fa che produrre ansia e depressione in chi si colpevolizza per non riuscire a santificare la propria opera lavorativa.
- A livello percettivo, una persona impegnata possiede le caratteristiche desiderate del capitale umano (competenza e ambizione), e l’attenzione si è spostata dalla preziosità e scarsità dei beni alla preziosità e scarsità degli individui: più sei occupato, più sei interessante.
- Uno studio presentato nel gennaio del 2015 dai ricercatori della University of Texas, che ha analizzato le abitudini televisive di 316 persone tra i 18 e i 29 anni, ha messo in luce come il binge-watching sia correlato a depressione, solitudine e incapacità di autogestirsi.
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- Anche l’importanza della famiglia, come nucleo costituito da madre e padre, con precise funzioni e legata in modo fortissimo al suo interno, in cui i figli rappresentano il frutto del lavoro dei genitori, è un’idea più moderna di quanto pensiamo, e legata in particolare ai rapporti economici. Senza i ruoli di genere, il lavoro di cura delle donne e la produzione della prole, il sistema economico di mercato sarebbe collassato.
- Il problema di questo invito risiede nel fatto che nessuno dovrebbe dipendere da una singola istituzione sociale per definire il proprio disegno di sé: l’idea di lavorare solo per seguire la passione spesso si basa sull’assunto che ogni individuo abbia una passione unica e specifica, il che può essere escludente e invalidante per le persone che non hanno una passione così definita o che hanno interessi e talenti multifocali.
- Tu sei prima di tutto una mamma, una moglie, una figlia, una sorella, e questa identità deve bastarti. Se senti un attrito, c’è qualcosa che non va in te. La natura del servizio femminile permette al capitale, secondo Federici, di convincere le donne che questo lavoro sia inevitabile, gratificante in sé, e quindi non abbia bisogno di un compenso.
- L’idea di stipendiare il lavoro domestico è volta proprio a rifiutare quel lavoro come espressione della natura femminile, e di conseguenza tutti gli stereotipi sul ruolo femminile che la società ha inventato per le donne.
- Il ripensamento del lavoro domestico è funzionale, per esempio, alla ridefinizione del ruolo maschile artificiale, anch’esso costretto in uno stereotipo asfissiante, che impedisce agli uomini, fra le altre cose, di autoeducarsi all’amore.
- Prima che amare il lavoro, insomma, bisogna in qualsiasi campo lavorare l’amore. Far sì, cioè, che i propri desideri emergano liberi, e abbiano la strada per potersi manifestare.
- in Unione Europea l’1% più ricco, ad esempio, è responsabile della metà delle emissioni di CO2 del settore dell’aviazione.
- Come ha scritto Pierre Bourdieu in Forme di capitale, la trasmissione del capitale culturale è la forma mascherata di trasmissione ereditaria di capitale, e la più importante.
- Di fronte a una potenziale perdita di tempo, per esempio, una persona abituata al privilegio cercherà dei modi per risparmiarlo senza considerare che sta saltando la fila o togliendo spazio a qualcuno, semplicemente perché è portata a pensare così, perché il suo tempo è più prezioso: «Io guadagno in un’ora il corrispettivo di sei mesi della pensione di questo vecchio. Lui può perdere tempo, io no».
- Quando Antonio Gramsci parlava di egemonia culturale, intendeva sottolineare esattamente questo: chi partecipa alla formazione del gusto e dell’immaginario ha un potere più grande di quanto si pensi – oggi diremmo un soft power – e può imporsi senza ricorrere alla violenza e all’aggressività, selezionando secondo i propri valori ciò che verrà ritenuto giusto e naturale e ciò che sarà ignorato.
- Il cortocircuito avviene quando, anziché considerare anomala questa ricchezza accumulata con la società industriale e digitale, consideriamo un’anomalia tutte quelle persone che non la raggiungono, e diamo loro la colpa.
- secondo David Graeber, la ragione per cui un elettore povero che vota un partito populista tende ad avercela più con gli intellettuali che con i ricchi è perché può immaginare che i suoi figli potranno un giorno accumulare abbastanza ricchezza per dirsi ricchi, ma non abbastanza cultura per dirsi intellettuali.
- Perché parliamo tanto dei nostri acquisti, dei nostri oggetti, di quelli che desideriamo e di quelli di cui vogliamo liberarci? Perché ci provocano così tante emozioni e catturano così tanti pensieri? Quanto spesso pensiamo a ciò che vorremmo comprare, quanto tempo dedichiamo alla sua ricerca online? Forse la risposta è nel senso di precarietà e nel fatto che, per la maggior parte di noi, gli oggetti sono la cosa più tangibile che abbiamo, un amuleto contro la paura di perdere tutto.
- Quello con il mondo vegetale non solo è stato il primo, ma è in assoluto il più duraturo rapporto lavorativo che abbiamo instaurato, dal quale siamo oggi più dipendenti che mai.
- Nel nostro rapporto attuale, intensivo e perverso con la natura, manifestiamo invece l’ansia di possedere il maggior numero possibile di risorse per fronteggiare l’insensatezza e la gettatezza dell’esistenza. Siamo divenuti ormai incapaci di convivere con l’idea del cambiamento costante, della trasvalutazione, della trasformazione.
- È interessante immaginare l’atto di diserzione, quindi, non soltanto come un togliersi dal campo, ma anche come un allentamento delle possibilità di propagazione del male:
- Secondo Michel Foucault, l’idea del generale Carl von Clausewitz secondo cui «la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi» andrebbe rovesciata: è la politica a essere la continuazione della guerra con altri mezzi.
- la dialettica hegeliana servo-padrone non esiste più come un tempo, ma è stata introiettata: siamo contemporaneamente servi e padroni di noi stessi, siamo servi e padroni gli uni degli altri, e di conseguenza viviamo in uno stato di controllo e ansia perenni.
- Non studio il mondo perché così, sapendone di più, imparerò a vivere meglio, ma studio il mondo per studiare il mondo. Non cerco di conoscermi per potermi spendere meglio in società, ma cerco di conoscermi per potermi conoscere. Fine. Dovremmo senz’altro imparare a oziare in questo senso, imparare a fare i fannulloni, a impiegare il nostro tempo senza l’ansia di averne qualcosa in cambio, educandoci anche a sperperare coscientemente la vita.
- La sensazione, dunque, di dare eccessiva importanza a quello che nel 1958 Hannah Arendt definiva «futilità» è quindi un po’ come dire che il re è nudo: tutti lo vedono, ma solo dietro gli schermi dei social è possibile confessarselo. Durante l’orario lavorativo, invece, si torna a recitare, come confessa la madre di Eula Biss in Le cose che abbiamo, dicendo che la parte più dura del lavorare non è il lavoro in sé ma la finzione, cioè la messinscena: credere che tutto abbia senso, eseguire i rituali richiesti, prendere sul serio dei progetti insulsi e, il più delle volte, annoiarsi terribilmente e desiderare di essere altrove.
- Il fatto è che il senso della vita non c’è, quantomeno non ce n’è uno già dato, già pronto, che sta nascosto da qualche parte e che va scoperto. Il senso non è in un certo essere, in una certa cosa o in un certo oggetto, ma risiede nella relazione che può nascere con gli esseri, con le cose o con gli oggetti. Il senso è tra, non è in.
- Quando la piena occupazione diventa un valore in sé, il lavoro perde la sua funzione spirituale e diventa soltanto uno svilente strumento di alienazione, e in questo modo smarrisce tutto ciò che di buono potrebbe generare.
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- È necessaria una politica che enfatizzi la riproduzione sociale anziché la produzione, come spiega Gavin Mueller, e che anteponga il diritto alla riparazione al dovere alla creazione, riqualificando in questo modo il rapporto tra umano e non (ancora) umano.
- Il fatto è che la società che abitiamo si fonda sulla grande menzogna secondo cui ci sia un’opportunità per tutti: niente di più falso.