A quel maschio bottegaio, autoritario, patriarcale, misogino, l’urlo antimilitarista e antipatriottico di donne e bambini lasciava presagire qualcosa di terrificante e d’inaudito: un futuro senza di lui.
Mentre il corteo sfilava per le strade, i borghesi, i negozianti, gli albergatori avevano frettolosamente chiuso le finestre, abbassato le saracinesche e sbarrato le porte. Di fronte a quel futuro, ci si murava nella prigione del presente.
L’unico ostacolo lo oppongono le rotative. I macchinari pesanti della tipografia non si lasciano scalfire dai manganelli, e nemmeno dai pugnali degli Arditi che li circondano ammaliati come grandi scimmie attorno a un meteorite caduto dal cielo sulla terra.
Chi sono i fascisti? Che cosa sono? Benito Mussolini, loro ideatore, ritiene l’interrogativo ozioso. Sì, certo… sono qualcosa di nuovo… qualcosa d’inaudito… un antipartito. Ecco… i fascisti sono un antipartito! Fanno dell’antipolitica. Benissimo. Ma poi la ricerca dell’identità si deve fermare qui. L’importante è essere qualcosa che permetta di evitare gli impacci della coerenza, la zavorra dei principi. Le teorie, e la conseguente paralisi, Benito Mussolini le lascia volentieri ai socialisti.
Il problema teorico del programma politico si risolve sradicandolo come un’erba infestante: i fascisti devono soltanto passare all’azione, qualunque tipo di azione.
Fortuna che c’è troppo sole in Italia. Troppo sole, la rivoluzione russa non può venire.
La politica è l’arena dei vizi, non delle virtù. L’unica virtù che richiede è la pazienza.
Noi fascisti, conclude, non abbiamo idee precostituite, la nostra sola dottrina è il fatto.