Gli estremi significano i confini oltre i quali la vita termina, e la passione per l’estremismo, in arte come in politica, è un desiderio di morte mascherato.
Un dramma umano si può sempre esprimere con la metafora della pesantezza. Diciamo, ad esempio, che ci è caduto un fardello sulle spalle. Sopportiamo o non sopportiamo questo fardello, sprofondiamo sotto il suo peso, lottiamo con esso, perdiamo o vinciamo. Ma che cos’era successo in realtà a Sabina? Niente. Aveva lasciato un uomo perché voleva lasciarlo. Lui l’aveva forse perseguitata? Aveva cercato di vendicarsi? No. Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di Sabina non era caduto un fardello, ma l’insostenibile leggerezza dell’essere.
La nostalgia del Paradiso è il desiderio dell’uomo di non essere uomo.
Com’è che le mestruazioni di un cane risvegliavano in lei un’allegra tenerezza mentre le sue mestruazioni le facevano schifo? La risposta mi sembra facile: il cane non è mai stato cacciato dal Paradiso.
Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l’amore) dall’altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza.
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Se Karenin fosse stato un essere umano e non un cane, di sicuro già da tempo avrebbe detto a Tereza: «Senti, non mi va più di portare in bocca ogni giorno un panino. Non puoi inventare qualcosa di nuovo?». In questa frase è contenuta tutta la condanna dell’uomo. Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.
La sua debolezza era aggressiva e lo costringeva a una continua capitolazione, fino a che lui non aveva smesso di essere forte e si era trasformato in un leprotto tra le sue braccia.
«Tereza, una missione è una cosa stupida. Io non ho nessuna missione. Nessun uomo ha una missione. Ed è un sollievo enorme scoprire di essere liberi, di non avere una missione».