«Non si è mai pari con chi ci ha reso un favore – ribatté Dantès – giacché quando non si deve più denaro, si deve gratitudine».
Una fanciulla di città forse avrebbe tentato di nascondere la propria gioia sotto un velo o almeno sotto il velluto delle palpebre, Mercédès invece sorrideva e guardava tutti coloro che la circondavano, e il suo sorriso e il suo sguardo dicevano con schiettezza pari a quanto avrebbero potuto dire le parole: «Se siete miei amici gioite con me, poiché in verità io sono assai felice».
Monsieur Morrel capì che non c’era nulla da fare contro l’inflessibilità della situazione: un commissario cinto della propria stola non è più un uomo, è la statua della legge, fredda, sorda, muta.
Caderousse, con l’istinto lesto dell’egoismo, comprese tutta la solidità del ragionamento; guardò Danglars con occhi stravolti dalla paura e dal dolore, e per un passo che aveva mosso in avanti ne mosse due all’indietro.
«Nossignora – ribatté Villefort – io lascio ciascuno sul proprio piedistallo: Robespierre in place Louis XV, sul patibolo; Napoleone in place Vendôme, sulla colonna. Solo che uno ha creato un’uguaglianza che abbassa, l’altro un’uguaglianza che innalza; uno ha ricondotto i re al livello della ghigliottina, l’altro ha innalzato il popolo al livello del trono.
Tutti questi elementi sommati componevano dunque per Villefort un ammontare di felicità abbagliante, al punto che gli era parso di scorgere qualche macchia nel sole quando aveva guardato a lungo la propria vita intima con gli occhi dell’anima.
Sicché tutte le mie opinioni non dirò politiche bensì personali si limitano a questi tre sentimenti: amo mio padre, rispetto monsieur Morrel e adoro Mercédès.
E Villefort uscì di corsa; sulla porta tuttavia pensò che un sostituto procuratore del re che fosse stato visto avanzare a passi precipitosi avrebbe rischiato di turbare il riposo di una città intera. Riprese quindi la sua andatura consueta, che era tutta magistrale.
Il dolore però non si lascia respingere in questo modo. Alla stregua della freccia letale di cui parla Virgilio, l’uomo ferito lo reca con sé2.
Danglars era uno di quegli uomini di calcolo che nascono con una penna dietro l’orecchio e un calamaio al posto del cuore; a questo mondo ogni cosa per lui era sottrazione o moltiplicazione, e un numero gli pareva ben più prezioso di un uomo, quando il numero poteva accrescere l’importo che l’uomo poteva sfoltire.
In politica, mio caro, voi lo sapete al pari di me, non vi sono uomini, bensì idee; non sentimenti, bensì interessi. In politica non si uccide un uomo: si elimina un ostacolo, tutto qui.
voialtri che detenete il potere non avete nulla eccetto i mezzi forniti dal denaro, noialtri che lo attendiamo abbiamo quelli forniti dall’abnegazione».
«Parola mia, buon per lui», commentò l’ispettore. «Una volta impazzito del tutto, patirà meno». Era un uomo colmo di umanità l’ispettore, come si vede, e degno delle mansioni filantropiche che ricopriva.
per l’uomo felice, infatti, la preghiera rimane un’accozzaglia di parole monotone e prive di senso fin quando il dolore giunge a spiegare al malcapitato il linguaggio sublime per mezzo del quale egli parla con Dio.
Apprendere non vuol dire sapere; vi sono i sapienti e i savi. È la memoria che fa gli uni, è la filosofia che fa gli altri».
«La filosofia non si apprende; la filosofia è l’incontro tra le scienze acquisite e il genio che le applica. La filosofia è la nube splendente su cui il Cristo ha posato il piede per riascendere al cielo»
E così Dantès, che tre mesi addietro non aspirava ad altro se non alla libertà, era già più che stufo della libertà e aspirava alla ricchezza. La colpa non era di Dantès bensì di Dio che, limitando la potenza dell’uomo, gli ha creato desideri infiniti.
Cosa facessero lì quelle stoffe non avremmo saputo dire: attendevano, nel mentre allietavano gli occhi, una destinazione ignota perfino al proprietario, e nell’attesa rischiaravano l’appartamento con i loro riflessi cangianti e dorati.
«Sei in fallo, mio signore; io non amavo affatto mio padre come amo te; il mio amore per te è un altro amore: mio padre è morto e io non sono morta, mentre se tu morissi io morirei».
Orbene, l’uomo sarà perfetto solo quando saprà creare e distruggere al pari di Dio; sa già distruggere, siamo a metà dell’opera».
Voi dite che vi ama, Maximilien; eh mio Dio, cosa ne sapete? Gli uomini fanno buon viso a un alto ufficiale di cinque piedi e sei pollici come voi, che ha lunghi mustacchi e una grande sciabola, ma credono di poter annientare senza tema una povera fanciulla che piange».
Se la mia fronte è severa, è perché è stata rabbuiata da sciagure a profusione; se il mio cuore è pietrificato, è per poter tollerare i colpi che ha ricevuto.
E così la maggior parte delle azioni malvagie sono andate incontro agli uomini camuffate nelle speciose vesti della necessità; poi, una volta commessa l’azione malvagia in un momento di euforia, di timore o di delirio, ci si accorge che sarebbe stato possibile passarvi accanto evitandola.
«Eh, cosa ne so io! Egli se lo affibbia, io glielo affibbio, gli altri glielo affibbiano; non è forse come se lo possedesse?».
«Ora però siete felice». «Certo – rispose il conte – dal momento che nessuno sente che mi dolgo».
d’altronde, i cuori più corrotti non riescono a credere al male se non fondandolo su un qualche interesse: il male inutile e senza causa repelle come un’anomalia.
Morrel giurò di amare il vegliardo con tutta l’anima, e tale promessa non gli costava nulla, giacché in quel momento non si limitava ad amarlo come un amico o come un padre, lo adorava come un dio.
Mercédès lanciò un grido che strappò due lacrime dalle palpebre di Montecristo, ma le due lacrime disparvero pressoché subito giacché di certo Dio aveva inviato un qualche angelo a raccoglierle, di gran lunga più preziose com’erano per il Signore che non le più ricche perle del Guzerate e di Ofir.
Quel che più ho amato dopo di voi, Mercédès, è me stesso, ovvero la mia dignità; ovvero la possanza che mi rendeva superiore agli altri uomini. Tale possanza era la mia vita; con una parola voi la mandate in mille pezzi. Io muoio».
L’avvelenatrice non aveva più nulla da fare nella stanza; indietreggiò con tale cautela che era palese temesse lo sfregamento dei piedi sul tappeto, eppure nell’indietreggiare teneva ancora sollevata la tenda, rapita dallo spettacolo della morte che reca in sé la sua malia irresistibile fintantoché la morte non è decomposizione ma solo immobilità, fintantoché rimane mistero e non è ancora ribrezzo.
Tale grido proruppe per così dire da tutti i pori, spaventoso nel suo mutismo, straziante nel suo silenzio.
Sulla scalinata d’Avrigny incontrò il parente di cui aveva fatto menzione Villefort, personaggio insignificante nella presente storia così come nella famiglia, uno di quegli esseri votati nel nascere a ricoprire al mondo il ruolo di comparsa.
Le donne infatti hanno istinti di una sicurezza infallibile; attraverso un’algebra che esse medesime hanno inventato, spiegano persino il meraviglioso. Io, che non conoscevo altro fuorché le mie cifre, non sono più stato al corrente di nulla dal giorno in cui le mie cifre mi hanno gabbato.
Avete rimirato qualche volta la celerità della mia caduta? Siete rimasta un po’ abbagliata dall’incandescente fusione dei miei lingotti? Io, lo confesso, non ho visto altro che il fuoco; speriamo che in mezzo alle ceneri voi abbiate rinvenuto un po’ d’oro.
Vi sono circostanze che gli uomini colgono con l’istinto, ma che non riescono a comprendere con la mente; in tale frangente, il poeta più sommo è colui che lancia il grido più veemente e naturale. La folla accoglie tale grido come un racconto intero, e ha ragione nel contentarsene, e maggior ragione ancora nel trovarlo sublime quando è vero.
«Fate attenzione – avvertì Montecristo – non è in siffatto modo che si adora Iddio. Iddio vuole che lo comprendiamo e ne mettiamo in discussione la potenza; è a tal fine che ci ha donato il libero arbitrio».
«Ahimè – ribatté Montecristo – è una delle superbie della nostra povera umanità che ogni uomo si reputi più infelice di un altro infelice che piange e geme lì accanto».
Dite all’angelo che veglierà sulla vostra vita, Morrel, di pregare qualche volta per un uomo che alla stregua di Satana si è creduto per un istante l’eguale di Dio, e che con tutta l’umiltà di un cristiano ha riconosciuto che solo nelle mani di Dio giacciono la superna potenza e la saggezza infinita. Tali preghiere mitigheranno forse il rimorso che egli porta con sé in fondo al cuore.
non v’è né felicità né infelicità a questo mondo, v’è la comparazione tra una condizione e l’altra, nulla più. Solo colui che ha conosciuto l’estrema sventura è in grado di provare l’estrema felicità. Bisogna aver desiderato morire, Maximilien, per sapere quanto sia bello vivere.