Sono nato a Milano il 9 novembre 19321. Mia madre Lina, una donna molto bella, con i capelli lunghi e neri, era istriana, originaria di Fiume, fervente cattolica e, secondo i criteri dell’epoca, ariana. Mio padre, Julio Frisch, nato a Leopoli nel febbraio del 1899, era ebreo di lingua tedesca.
«Qualcuno ha scritto di me che ebbi coraggio a non abbandonare la nonna, come se da così piccolo avessi già la consapevolezza di quello che accadeva agli ebrei deportati dall’Italia e il mio fosse stato un gesto emblematico di grande amore»3. Non fu così. Terrorizzato dall’idea di restare solo, lontano da tutti, dalla mamma e dai parenti, non mi rimaneva che seguire la nonna.
In dodici, chiusi in una cella, sostenemmo un breve interrogatorio: i carcerieri ci chiesero nome e cognome, data e luogo di nascita, nome dei genitori e fede religiosa. Quando fu il mio turno, risposi con sicurezza che ero ariano di religione cattolica e che soltanto la nonna era ebrea.
Di lì a poco, due compagni di viaggio persero la testa. Mario Levi8, che non aveva ancora sessant’anni e non era nemmeno troppo vecchio, almeno in rapporto a mia nonna che aveva superato i settanta, e un certo Guido Roberti9. Parlavano in modo insensato e poiché non avevano capito che si dovevano fare i propri bisogni in un bidone, in un angolo, a volte li facevano nel mezzo del vagone, rischiando di sporcare tutti gli altri. Dopo otto giorni di viaggio, sabato 1° luglio, verso sera, il treno si fermò. Eravamo arrivati a destinazione»10
All’interno della sauna, uomini e donne vennero separati e io fui assegnato al piccolo gruppo maschile.
Allora mi misi a piangere e a urlare in tedesco, ripetendo in modo ossessivo che non volevo allontanarmi dalla nonna. Era ormai notte e faceva freddo, così i sorveglianti, dopo essersi consultati con lo sguardo, mi consentirono di restare con lei; tanto, di lì a poco il problema sarebbe stato risolto. Ero un bambino, e i bambini non servivano a nulla in un campo di lavoro.
derisione
decise di salvarmi.
nascesse un affetto vero.
Otto mi prese subito a cuore,
«Quel giorno, mi confermai nella convinzione che il potere di un medico prigioniero era un fatto concreto»
Non c’erano ancora l’acqua corrente né i servizi igienici, ma gli ebrei, quasi tutti provenienti dall’Ungheria, vi vennero comunque ammassati, se non ricordo male, fino alla fine del mese di ottobre. Agli ebrei internati il 18 agosto vennero assegnati i numeri di matricola dal B-7523 al B-7541. A me toccò il B-7525. Non
Da quel momento, potei abitare ufficialmente nella baracca sedici con Wolken, che aveva una cameretta separata in cui si riposava nei rari momenti di pausa dal lavoro.
Il Kapo responsabile del magazzino abbigliamento, Paul Bracht, matricola 3287, era un prigioniero tedesco, un uomo cattivo che odiava gli ebrei. Distingueva i prigionieri in tre categorie: ebrei, polacchi, russi e tedeschi insieme. I capi più logori e malridotti li assegnava agli ebrei.
Qualche detenuto diceva che, studiando i gemelli, i medici nazisti volevano scoprire il segreto della nascita di esseri umani uguali per aumentare la popolazione tedesca, falcidiata dalla guerra in corso. Esaurito il loro scopo, i gemelli venivano spediti alla camera a gas.