Qualunque sia la variante, la trama del racconto della morte femminile non cambia: con la morte la donna non è mai in un rapporto di protagonismo, ma sempre in quello di passiva conseguenza.
Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un’altra forma di violenza, piú sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi.
La scoperta dell’epidurale esasperò un dibattito teologico sul tema del parto indolore che durava già dalla seconda metà dell’Ottocento, e che vedeva le voci piú conservatrici invocare la naturalità intoccabile della sofferenza della donna, contro i progressisti che tentavano di imporre una visione piú metaforica della condanna divina.
Il dolore mariano, a differenza di quello di Cristo, non è mai personale, ma è traslato, eco e conseguenza di quello del Figlio. È un dolore di servizio, che serve a rendere piú evidenti le sofferenze del Crocifisso.
Scegliendo di incentivare il linguaggio esattoriale i sacerdoti – che nel sacramento della confessione sono mediatori del perdono divino – hanno implicitamente rinunciato a essere percepiti come veicoli di misericordia per accettare di porsi, invece, come esattori di questo costante e collettivo debito morale.
L’atto dell’assistere, nel suo doppio significato di prendersi cura e di essere testimone di un evento, diventa per la donna l’unico modo legittimo di continuare a esistere in modo degno.
L’enfasi sulla peculiarità del femminile serví a riconfermare la subordinazione sociale e familiare della donna, non piú enunciata in nome di una inferiorità di genere, ma fondata su una pretesa superiorità di ruolo spirituale.